Un risultato che, a prima vista, potrebbe sembrare desiderabile.
Ma è questo lo scopo dell'informatica? Cosa succederebbe se davvero chiunque si trovasse improvvisamente ad avere un computer a disposizione?
Non è poi così difficile immaginarlo. Per capirlo facciamo un passo indietro e torniamo per un attimo agli anni ottanta.
È difficile immaginare un periodo in cui lo sviluppo delle tecnologie informatiche sia stato più rapido: ogni pochi mesi venivano presentate nuove soluzioni rivoluzionarie e competitive (per l'epoca) e c'era un forte stimolo all'innovazione in tutti i settori della ricerca e dello sviluppo.
Nel giro di sei-sette anni si è passati dall'interfaccia a caratteri dello ZX Spectrum alla GUI PostScript ed object-oriented di NeXTStep (1).
In un periodo in cui non esistevano ancora soluzioni "standard" a basso
costo offerte da produttori specializzati, ogni azienda informatica era libera
di proporre sistemi hardware proprietari sempre nuovi che costituissero un
reale salto di qualità rispetto alla concorrenza.
I primitivi "set di istruzioni in ROM" degli home computer hanno ceduto il
passo a complessi sistemi operativi dotati di funzionalità sempre più avanzate
la cui geniale implementazione non di rado meriterebbe di essere fatta oggetto
di un corso di ingegneria del software (2).
Senza restare troppo nel generico, dovrebbe essere sufficiente rilevare come nel 1983 il sistema più avanzato che un utente comune potesse acquistare fosse monotasking e ad 8 bit, e come nel 1986 invece fosse già multitasking e a 32 bit (per quanto l'ambiente della cosiddetta "informatica seria" abbia deciso di seguire questa strada molto più tardi).
Ma qual era l'origine di questo fervore di ricerca e sviluppo? Cosa alimentava tali incessanti sforzi in direzione del nuovo e del mai tentato prima?
A mio parere una cosa, ed una soltanto.
Il computer era un prodotto per pochi appassionati, una macchina per esperti.
Ciò ha favorito enormemente la nascita, nell'informatica di quei tempi, di un grande spirito "pionieristico", da sempre l'unico e vero stimolo del progresso in qualsiasi campo.
Tale spirito si è perso negli ultimi anni, proprio grazie alla "monopolizzazione" e alla "massificazione" dei prodotti informatici operate (o perpetrate?) da parte di poche, diciamo pure due, aziende interessate più all'utile economico che al progresso tecnologico.
La monopolizzazione ha soffocato lo spirito pionieristico delle altre
aziende, costringendole a seguire "standard" imposti più con la forza (del
portafogli) che con la ragione, ed impedendo loro di proseguire sulla strada
della ricerca e dell'innovazione.
Così lo sviluppo dell'hardware si è ridotto alla ricerca della maggiore
potenza di clock, nel campo del software l'aggiunta ha soppiantato il
miglioramento, e in generale la quantità ha finito per prevalere sulla
qualità.
È chiaro poi che l'utente, messo di fronte ad una tale disponibilità di
prodotti di massa a basso prezzo, ha perso a sua volta lo spirito pionieristico
che prima lo spingeva a divenire parte "attiva" nello sviluppo della propria
piattaforma (quale che essa fosse). Non c'è da stupirsi di questo: è naturale
che chi si vede offrire "soluzioni" già pronte (non importa quanto poi
effettivamente valide) non si senta motivato a realizzarne altre di propria
iniziativa.
Vogliamo ricordare le riviste di informatica dei primi anni ottanta? Tutte
dedicavano pagine e pagine ai programmi inviati dai lettori. Ora che i lettori
sono aumentati, quelle pagine, al contrario, sono pressoché scomparse.
Quanti dedicano ancora il proprio tempo allo sviluppo di software che possono, con minore fatica, acquistare in negozio? Poco conta se poi, oltre al software, devono "regalarsi" anche un nuovo computer su cui farlo girare decentemente...
Dunque i proprietari di computer sono sempre più "utilizzatori" e sempre meno "sviluppatori"? Purtroppo l'impressione è proprio questa. Ma non è tutto: con il crescere, in percentuale, del numero di utilizzatori, anche il tempo a disposizione degli sviluppatori per la ricerca innovativa cala costantemente, dovendo essere investito nel continuo mantenimento dei prodotti "popolari" che il mercato richiede (e dai quali ormai dipende).
Finché si ha uno sviluppatore ogni cento utenti è ancora concepibile che questo riesca a programmare software "standard" per lavoro, e poi, magari nel tempo libero (certo non retribuito!), possa lavorare a qualcosa di veramente innovativo. Ma quando si arriva ad avere uno sviluppatore ogni centomila utenti si può star certi che tutto il suo tempo verrà assorbito dal lavoro volto a soddisfare le "esigenze" della massa.
Viene così a scomparire completamente il concetto stesso di "progresso", sostituito da un più banale "potenziamento" che ne costituisce solo una parte (e probabilmente quella di minor valore). Purtroppo la mentalità imposta dal sistema attuale induce molti a scambiare tale parte per il tutto e quindi a sentirsi soddisfatti da un simile stato di cose... arrivando in alcuni casi a lodare ed ammirare proprio gli stessi artefici del degrado dell'informatica.
Di fronte ad una simile prospettiva appare meno auspicabile una diffusione indiscriminata del computer come quella sognata da Bill Gates per le masse.
Torniamo dunque alla domanda iniziale: lo scopo dell'informatica è quello di "portare un computer in ogni casa"? A questo punto la risposta dovrebbe essere ovvia.
La risposta è NO. Lo scopo dell'informatica dovrebbe essere, a mio parere, di rendere ogni persona in grado di capire ed utilizzare razionalmente un computer. E questo non è certo la stessa cosa che limitarsi a metterne uno in mano ad ogni persona.
Prima di "portare un computer in ogni casa" sarebbe opportuno portarvi un po' di Cultura Informatica (notare le iniziali maiuscole) affinché la gente impari a decidere da sola di cosa abbia realmente bisogno, e soprattutto quali siano, caso per caso, le soluzioni migliori per ottenerlo. Inclusa la capacità di svilupparlo autonomamente, se e quando occorre.
Questo non significa che il computer debba rimanere un prodotto d'elite.
Tutt'altro. Anche l'automobile, ormai, non è certo una cosa per pochi.
Ma per usare un'automobile occorre una patente. E per usare il computer?
Sicuramente non occorre arrivare a tanto, ma sarebbe altresì sbagliato
voler considerare il computer come un qualsiasi elettrodomestico. È un
dispositivo molto più complesso che richiede una conoscenza superiore.
E questa conoscenza, in un modo o nell'altro, deve essere fornita al
pubblico. L'introduzione dell'informatica nella scuola dell'obbligo può già
essere un passo avanti in questo senso, ma molta strada resta ancora da
percorrere se vogliamo davvero "informatizzare" la società del futuro.
Aumentare la conoscenza. Questo dovrebbe essere il fine dell'informatica,
come di ogni disciplina scientifica.
Vogliamo avere più computer... o più persone che LO CAPISCONO e SANNO
USARLO BENE?
È chiaro che in una tale ipotetica situazione di maggiore "consapevolezza", molti "status-symbol" di oggi non riuscirebbero più a fare tanta presa sulla mentalità collettiva a tutto vantaggio di poche (pochissime) grandi aziende.
Non stupisce più di tanto, alla luce di ciò, l'apparentemente "nobile" e "lodevole" intento di Mr. Gates, che sull'ignoranza e conseguente influenzabilità delle masse ha costruito la sua intera fortuna.
Un computer in ogni casa? Probabilmente accadrà. Ma dovremo essere noi, e non
Bill Gates, a volerlo... possibilmente sapendo perchè.
Scritto da: Massimo Tantignone e-mail: tanti@intercom.it Via Campagnoli, 4 28100 Novara ITALY